Buon compleanno Michael

HÜRTH (Germania), 3 gennaio – Michael Schumacher (Hürth3 gennaio 1969) è un ex pilota automobilistico tedesco, il più vincente campione della Formula 1 e uno dei più grandi automobilisti sportivi di tutti i tempi. Ha conquistato 7 titoli mondiali: i primi due con la Benetton (1994 e 1995) e successivamente cinque consecutivi con la Ferrari (20002001200220032004).

Soprannominato Kaiser, Schumacher detiene gran parte dei record della Formula 1 avendo conseguito, oltre ai titoli iridati, anche il maggior numero di gran premi vinti, di giri veloci in gara, di hat trick (pole position, vittoria e giro più veloce nella stessa gara). Fino al 13 ottobre 2013 Schumacher ha detenuto anche il record assoluto di punti in carriera, superato in quell’occasione da Fernando Alonso. In seguito altri quattro piloti hanno sorpassato tale record. È stato anche primatista di pole position (68) dal 2006 al 2017, quando è stato sorpassato da Lewis Hamilton nelle qualifiche del Gran Premio d’Italia 2017. Dotato anche di grandi doti da collaudatore in grado di far crescere le proprie vetture, Schumacher è stato anche il primo tedesco a laurearsi campione del mondo di Formula 1 ed è stato l’icona più popolare nella Formula 1 fino al 2006, secondo un sondaggio della FIA.

Il 12 ottobre 2003, vincendo il suo sesto mondiale, è diventato il più titolato pilota di Formula 1, superando il record di Juan Manuel Fangio, e nel 2004 ha marcato un ulteriore record vincendo il quinto titolo iridato consecutivo, il settimo in totale. Ritiratosi una prima volta alla fine del 2006, ha deciso di tornare a correre nella stagione 2010, a 41 anni, con la Mercedes, per poi ritirarsi definitivamente alla fine della stagione 2012. 308 GP disputati (307 partenze); 91 GP vinti, 155 Podi, 68 Pole Position, 77 Giri più veloci, 1566 Punti

Il 29 dicembre 2013 rimane gravemente ferito in un incidente sugli sci, a seguito del quale resta in coma farmacologico fino a oggi.

Buon compleanno Virgilio “Penna Bianca”

TORINO, 1 gennaio – Virgilio Conrero nacque a Torino il primo gennaio del 1918 ed è morto il 6 gennaio 1990 sempre a Torino. “Penna Bianca” è rimasto nella storia delle competizioni automobilistiche per le sue preparazioni su base Alfa Romeo, Lancia e Opel.

Figlio di Francesco, originario di Saluzzo, pioniere della meccanica, e della biellese Caterina il piccolo Virgilio ha una sorella Anita e un fratello Dante (in futuro matematico di fama, compositore di musica leggera e futuro dirigente Olivetti) rimase orfano molto giovane, all’età di quattordici anni, a causa della morte del padre nello scoppio della turbina a gas nell’officina di famiglia, scoppio che provoca tredici morte. La disgrazia mette in difficoltà la famiglia e Virgilio deve abbandonare la scuola all’età di quindici anni, che frequenta con ottimi risultati, dando addio ai suoi sogni di studiare ingegneria. Il primo lavoro lo trova come meccanico in un’azienda di macchine tipografiche, lavoro che non stimola la sua creatività tecnica. Nonostante le difficoltà economiche, e con molti sacrifici, frequenta un corso serale di motoristi di aviazione, alla fine del quale ottiene il diploma con il massimo dei voti. In quel periodo emergono le qualità che saranno la forza di Virgilio Conrero per il resto della sua vita: nessun compromesso con la mediocrità e ricerca del massimo risultato sia da parte sua sia da parte dei suoi collaboratori.

Il brevetto da motorista nel 1934 gli apre le porte di Fiat Aviazione, dove trova impiego nella sala prove motori d’aviazione sperimentali, sicché durante la Seconda Guerra mondiale presta servizio in aeronautica come meccanico degli aerei; finita la guerra e in pieno caos post bellico Virgilio Conrero, la Fiat non ha possibilità di reimpiegare Conrero nel settore aeronautico. Ciò lo delude fortemente, perciò lascia l’azienda torinese e nel 1948 inizia la collaborazione con l’ingegner Savonuzzi per elaborare le Cisitalia, nel raggiunge la famiglia, sfollata a Quincinetto, alle porte della Valle d’Aosta.

A pochi chilometri da casa, già in Valle d’Aosta, fonda a Pont Saint Martin insieme all’ingegner Savonuzzi, progettista della Cisitalia, fonda la Società Valdostana Automobili realizzando vetture da competizione per piloti quali il biellese Giovanni Bracco, fra le quali una monoposto di Formula 3 con motore Guzzi 500 e una Formula 1 con motore sovralimentato che fa faville al Circuito di San Remo nel 1950 con l’elvetico Rudi Fisher, anche se è costretta al ritiro anzitempo.

La SVA chiude i battenti e nel 1952 Virgilio fonda l’Autotecnica Conrero (che resterà attiva fino al 1985) trasformando in auto da corsa soprattutto le berline Alfa Romeo. Realizzando inoltre una vettura denominata Conrero-Alfa con motore 2 litri prima e 1150 poi, costruita in un esiguo numero di esemplari e, contemporaneamente prepara alcune Lancia Aurelia. Attività che non tarda a regalargli soddisfazioni, come la vittoria dell’Alfa Romeo Giulietta elaborata da lui nel Tour Corse del 1957 con Michel Nicol-Roger de la Geneste. In seguito, Virgilio Conrero ritorna a Torino, aprendo la sua officina in Via Mombasiglio. Nonostante si sia in pieno boom economico, che si riflette anche sul mondo dell’automobile, con nuovi modelli presentati a tamburo battente, e la voglia degli automobilisti di avere “qualcosa in più” dalle loro automobili, sia a livello estetico sia a livello prestazionale.

Come ad esempio nel 1953 quando l’elvetico Robert Felhlmann commissiona a Conrero una vettura su base Alfa Romeo 1900, disegnata da Savonuzzi per Ghia, una spettacolare berlinetta nell’eccitante linea “Supersonica” che però fu vista in pubblico solo in due occasioni (a Torino e alla partenza della Mille Miglia, targa svizzera GE 30030, che esce di strada sul percorso riportando gravi danni), prima che la stessa Ghia decida di continuare con questo modello, però motorizzato FIAT 8V. Il telaio viene portato in officina e la carrozzeria modificata con biposto spider che nelle mani di Gino Munaron vince la Sassi-Superga e in quelle di Gianni Balzarini alla Sassi-Superga di quell’anno. Nonostante sia vincente, la vettura vince ancora in Belgio e poi non si vede più in gara. Nel 1958 Conrero si dedica alla realizzazione di una velocissima Formula Junior la neonata categoria, con disegno di Michelotti e motore 1100 TV in grado di raggiungere i 200 km/h. Se è vero che nessuno è profeta in patria, le piccole monoposto di Virgilio Conrero ottengono un successo importante in Francia, con trenta vetture vendute motorizzate Peugeot 203. Nonostante tutto anche lo sviluppo di questa vettura viene abbandonato. Anche perché Conrero è impegnato nella realizzazione della 1150 Sport Le Mans, motore Giulietta 1300 ridotto di cilindrata, disegno ancora di Michelotti, che ancora una volta si mette in mostra nella 24 Ore di Le Mans del 1960 con De Leonibus-Costen, dov’è nettamente al comando della sua categoria, prima di ritirarsi per la rottura di un semiasse, lontano dia box. Ritiro replicato anche alla Targa Florio dello stesso anno. Vettura cui fa seguito la 2000 Sport Desmo, ancora una volta disegnata da Michelotti, che adotta un telaio di derivazione Osca con motore Alfa Romeo che si segnala per essere la prima vettura italiana a montare i freni a disco. Nei test di prova prima delle gare la vettura rompe un semiasse e viene abbandonata, per venire ritrovata intatta (con il semiasse rotto) vent’anni dopo. Con Michelotti costruirà anche una Triumph-Conrero che avrebbe dovuto partecipare alla 24 Ore di Le Mans del 1961, progetto non andato in posto per il ritiro della commessa.

Le vetture elaborate da Conrero vincono ovunque. Nel solo 1958 conquista quasi sessanta vittorie di cui 15 assolute, il titolo italiano nel Trofeo Montagna Classe 1300 con Carlo Maria Abate, Ada Pace, in arte “Sayonara” il titolo femminile e Bernard Costen il titolo francese.

Nonostante il successo delle auto che escono dall’officina del “Mago” come cominciano a chiamarlo all’epoca, Conrero deve stringere cinghia per la sua onestà intellettuale che lo porta a non scendere a compromessi e a non permettere che chi lavora con lui ne soffra, lasciando in disparte la sua attività di costruttore per concentrarsi su quella immediatamente redditizia di preparatore. Sono molte le personalità che passano a far visita a Conrero: nomi importanti come Juan Manuel Fangio, Nino Farina (i piloti più vincenti in Formula 1 in quegli anni), il giovane Jochen Rindt, il principe Ranieri di Monaco, grande appassionato di auto come i VIP dell’epoca, che amano intrattenersi con Virgilio Conrero o dividere con lui, gran buongustaio, un piatto in trattoria.  

Nel 1961 assieme a Renato Businello e Alejandro De Tomaso costruisce due monoposto di Formula 1 denominate De Tomaso-Conrero con motore Alfa Romeo Giulietta 1500, che si schiereranno con al volante Trintignant, Vaccarella e lo stesso Businello.

In quegli anni si cimenta anche con vetture di altre marche, quali le Renault Gordini, sulle quali si schierano nei rally piloti del calibro di Arnaldo Cavallari, Alcide Paganelli e Amilcare Ballestrieri.

La partnership con l’Alfa Romeo durò fino al 1969, anno in cui tagliò il traguardo della sua millesima vittoria, a causa dell’arrivo in Alfa l’anno precedente di Carlo Chiti, ma il Mago si prende ancora La soddisfazione di battere le Alfa ufficiali con le sue Alfa Conrero a Monza.

Dal 1965 Virgilio Conrero allarga i suoi orizzonti elaborando vetture Ford, Honda (esiste una foto con dedica di Sochiro Honda), Isuzu, Mitsubishi e Toyota.

Nel 1970 Conrero inizia a preparare le Opel Commodore 2.8 e 3 litri e Opel 1.9 GT, imbattibili nei rispettivi campionati turismo, spesso davanti alle vetture ufficiali della Casa. Nel 1972 conquista il campionato italiano  rally nazionale con Brai-Rudy su Opel Kadett Gruppo 2; che l’anno successivo bissano il successo con l’Opel Ascona SR in Gruppo 1, mentre nel 1974 a Presotto-Perissinot vincere questo titolo. Nel 1975 tocca a Lucky-Braito con l’Opel Ascona nei rally nazionali e Brai-Rudy con la Commodore nell’italiano vincere i titoli di categoria, vincendo anche nelle gare di velocità soprattutto con Pianta. Dal 1976 Conrero focalizza tutta la sua attenzione nei rally anche per l’arrivo della corsaiola Opel Kadett GT/E che esordisce a marzo al Rally Team ‘971, vincendo a fine anno il titolo Gruppo 2 con Ormezzano-Rudy e Gruppo 1 con Presotto-Perissinot. Il fatto che le Opel di Conrero siano vincenti porta alla corte del Mago giovani piloti del calibro di Dario Cerrato, Maurizio Verini, Miki Biasion, Tonino Tognana. Nel 1980 arriva anche Tony Fassina ed è una grandissima stagione per Virgilio Conrero nei rally che sfiora nell’annata di esordio il titolo italiano assoluto. L’anno successivo la sua Opel Ascona 400 della squadra ufficiale General Motors Italia vince il Campionato Italiano Rally con Tony-Rudy, bissato nel 1982 con il titolo continentale ancora  con Tony-Rudy davanti alle vetture di Opel Germania. Intanto i successi crescono e tagliano il traguardo delle 3000 vittorie. Però è anche il momento delle vetture Gruppo B a quattro Ruote Motrici che Conrero cerca di contrastare con la Manta 400 che non ha però il potenziale tecnico di competere con Audi, Peugeot e Lancia. Dopo mezzo secolo di competizioni Virgilio Conrero non ha più la forza e la brillantezza dei suoi esordi. Anche perché è ammalato e muore a Torino il 6 gennaio 1990.

Buon compleanno Giancarlo, il pilota che vinse all’esordio in Formula 1

MILANO (25 dicembre) – Giancarlo Baghetti, nato a Milano il giorno di Natale del 1934, vanta un primato impossibile da battere. Vince il suo primo (e per lui purtroppo unico) Gran Premio nella gara d’esordio: il Gran Premio di Francia del 1961 con la Ferrari 156 della Scuderia Sant’Ambroeus. Nella freddezza delle statistiche il pilota milanese condivide questo primato con Nino Farina e Johnnie  Parson, ma è necessario un distinguo. Nino Farina vinse il Gran Premio di Gran Bretagna del 1950, all’età di 44 anni dopo anni di massima formula, che rappresentava l’esordio della neonata categoria Formula 1. Chiunque avrebbe vinto sarebbe entrato in questa statistica. Parson vinse la 500 Miglia di Indianapolis del 1950 a 42 anni, gara che in quella stagione entrò a far parte del Campionato Mondiale di Formula 1 e disputata solo da piloti americani che correvano solo quella gara di F1. Anche in questo caso chiunque avesse vinto avrebbe vinto al suo “esordio” in Formula 1.

Dalla Mille Miglia alla Ferrari – Baghetti nacque in una famiglia di industriali milanesi, con il padre Italo proprietario di stabilimenti metallurgici; con buone disponibilità economiche e nel 1956 partecipò alla Mille Miglia con un’Alfa Romeo 1900 oltre a disputare con buoni risultati diverse corse in salita dopo aver fatto il suo esordio il 19 aprile alla Coppa Vigorelli. Nel 1959 passò alle ruote coperte e la vittoria in Formula Junior e la conquista della Coppa FISA (Federazione Italiana Sport Automobilistici) gli spalancò le porte della Formula 1. La Federazione decise infatti di affidare una monoposto Ferrari 156 della Scuderia Sant’Ambroeus a un giovane promettente. La Federazione assegnò la vettura a Baghetti preferendolo a Lorenzo Bandini, dando il via a un dualismo che durò fino alla morte del pilota emiliano

Tre volte vincente – L’esordio di Baghetti in Formula 1 avvenne in una gara non titolata, il Gran Premio di Siracusa nel quale il milanese si impose dopo aver segnando il secondo tempo in qualifica, avendo la meglio su piloti del calibro di Dan Gurney e Jack Brabham. Si ripeté tre settimane dopo al Gran Premio di Napoli, altra gara non valida per il mondiale, per presentarsi poi a inizio luglio al Gran Premio di Francia a Reims. In qualifica segnò il dodicesimo tempo, mentre in gara riuscì sorpasso dopo sorpasso, ad avere ragione in volata della Porsche di Dan Gurney per appena 1/10 che supera con un sorpasso da manuale all’ultimo giro e di oltre un minuto sulla Lotus di Jim Clark. Nelle altre due gare non fu altrettanto fortunato dovendo ritirarsi sia in Inghilterra, sia nel Gran Premio d’Italia doveva aveva segnato il sesto tempo in prova, con la soddisfazione di aver segnato il giro più veloce in gara sulla pista di casa.

Risultati avari con il Cavallino – L’anno successivo Baghetti approdò alla corte di Enzo Ferrari, ma la scuderia di Maranello era reduce dal burrascoso abbandono a fine 1961 dei progettisti Carlo Chiti e Giotto Bizzarrini, del direttore sportivo Romolo Tavoni. La direzione tecnica viene affidata due giovani (e valenti ingegneri) Mauro Forghieri e Giampaolo Dallara. Baghetti chiuse quarto nella prima gara di stagione in Olanda, vedendo poi il traguardo in Germania (decimo) e in Italia, quinto terminando la stagione 11° assoluto nella classifica del Campionato del Mondo F1. Monza fu l’ultima gara che vide Baghetti raccogliere punti.

Declino in F1, sorrisi alla Targa – Nel 1963 Baghetti passò all’ATS con la quale disputò nove Gran Premi con un solo arrivo, 15° al Gran Premio d’Italia. A seguire guidò una BRM P57 della Scuderia Centro Sud nel 1964 (settimo all’arrivo in Austria), Brabham B7 con cui disputò il Gran Premio d’Italia del 1965 concluso con un ritiro, Ferrari 246 di Reg Parnell con la quale non riuscì a qualificarsi a Monza e per ultima una Lotus 49 con cui si ritirò al Gran Premio d’Italia del 1967. In quegli anni partecipò anche alla Targa Florio conquistando il secondo posto nel 1962 con la Ferrari Dino 196 SP condivisa con Lorenzo Bandini, bissato con un altro secondo posto nel 1966 sulla Ferrari Dino 206 SP insieme al francese Jean Guichet. Sempre nel 1966 Giancarlo Baghetti vinse il Campionato Europeo Turismo Divisione 1 al volante di un’Abarth 1000 TC

Addio Giancarlo – Nel 1967, mentre assisteva da spettatore, Giancarlo Baghetti fu fra i primi a tentare di soccorrere Lorenzo Bandini intrappolato nella sua Ferrari capovolta e incendiata a Montecarlo. Dopo il suo ritiro dalle corse svolse un’intensa attività come fotografo e giornalista divenendo condirettore della rivista Auto Oggi, carica che mantenne fino alla fine. Giancarlo Baghetti è morto a Milano il 27 novembre 1995 ed è sepolto nel cimitero monumentale di Milano.

Buon compleanno Michele

MILANO, 23 dicembre – Michele Alboreto nacque a Milano il 23 dicembre 1956 ed è morto il 25 aprile 2001 a Klettwitz (Germania), in un incidente sul circuito del Lausitzring durante un test alla guida di un’Audi R8 in vista della partecipazione all’American-Le Mans Series e la 24 Ore di Le Mans. Alboreto ha vinto il Campionato Europeo di Formula 3 nel 1980 e ha partecipato 215 Gran Premi di Formula 1, qualificandosi 194 volte, vincendone cinque e chiudendo secondo nel mondiale 1985 al volante di una Ferrari. Risultando, al momento attuale, l’ultimo italiano a vincere un GP al volante di una monoposto del Cavallino Rampante. Ha inoltre vinto la 24 Ore di Le Mans del 1997 e la 12 Ore di Sebring del 2001. 

Contrariamente alla maggioranza dei piloti approdati alla massima formula, Alboreto era di umili origini con padre rappresentante e madre impiegata comunale. Come molti altri ragazzi appassionati di motori cominciò con le moto, passando nel 1976 alle monoposto correndo il Campionato di Formula Monza, su una vettura realizzata da lui stesso in collaborazione con alcuni amici, senza ottenere risultati rilevanti. Nonostante ciò, grazie agli amici di sempre nel 1978 fece il salto alla Formula Italia. In questa categoria riuscì a mettersi in luce chiudendo quarto a fine anno nella classifica piloti, vincendo una gara. Riuscendo a esordire in Formula 3. L’anno successivo venne chiamato da Giampaolo Pavanello a guidare nel suo team a fianco dell’esperto Piercarlo Ghinzani, chiudendo secondo dietro al compagno di squadra; nel 1980 partecipò al campionato europeo Formula 3 conquistato il titolo. Questa vittorie lo mise in luce agli occhi di Cesare Fiorio che fin dal 1980 lo inserì nel Team Lancia che disputava il Campionato del Mondo Sport Prototipi, ottenendo il secondo posto con la Lancia Beta Montecarlo alla 1000 Km di Brands Hatch, alla 6 Ore del Mugello e alla 6 Ore di Watkins Glen a fianco di Eddie Cheever, alternando la guida delle vetture a ruote coperte alle monoposto, passando in Formula 2 nel 1981 al volante di una Minardi con la quale conquistò un successo a Misano.

Nello stesso anno continuò con la Lancia Beta Montecarlo con la quale vinse la 6 Ore di Watkins Glen con Riccardo Patrese e partecipando alla 24 Ore di Le Mans dove ottenne l’ottavo posto assoluto, miglior Lancia al traguardo. Il 1981 fu anche l’anno dell’ingresso di Alboreto in Formula 1, propiziato dal conte Zanon, amico di Ken Tyrrell, che lo fece esordire al volante della Tyrrell 011 al Gran Premio di San Marino, dove disputò una buona gara fino a quando non venne tamponato da Beppe Gabbiani. La stagione 1981 non fu positiva per Alboreto che ottenne come miglior risultato il nono posto in Olanda senza marcare punti.

Il 1982 fu il miglior anno di Alboreto in Endurance, al volante della nuova Lancia LC1 vincendo la 1000 Km di Silverstone, la 1000 Km del Nürburgring e 6 Ore del Mugello, andando in testa alla classifica iridata piloti, ma due incidenti nelle gare finali vanificarono la sua rincorsa al titolo. In Formula 1 venne confermato da Tyrrell e ottenne il sesto posto e i primi punti mondiali in Olanda, che divennero un quarto posto a seguito della squalifica post gara di Keke Rosberg e Nelson Piquet. Alboreto conquistò poi sul campo il quarto posto a Long Beach, salendo poi sul podio nel “boicottato” Gran Premio di San Marino, risultato che non diede soddisfazione al pilota milanese. Prima della fine della stagione vinse il suo primo Gran Premio a Las Vegas chiudendo la stagione all’ottavo posto della classifica iridata.

Il 1983 non fu altrettanto positivo con Alboreto che conquistò solo due punti al volante della Lancia LC2 alla Mille Km di Monza nell’endurance, mentre in Formula 1 soffrì la scarsa competitività della Tyrrell a motore aspirato Cosworth contro le vetture turbo. Alboreto riuscì comunque a imporsi nel Gran Premio di Detroit in un circuito cittadino particolarmente lento.

A fine settembre 1983 venne ufficializzato il passaggio alla Ferrari, passaggio che non sorprese nessun visto l’apprezzamento espresso da Enzo Ferrari fin dall’anno precedente, scuderia per la quale corse dal 1984 al 1988. Il 1984 fu deludente nonostante una partenza in prima fila nel primo Gran Premio della stagione in Brasile per la scarsa competitività della 126 C4 che nel successivo Gran Premio del Belgio consentì ad Alboreto di partire in pole position e vincere agevolmente. Poi la competitività della vettura venne meno e Alboreto ebbe come unica, piccola, soddisfazione, il secondo posto di Monza e Nürburgring, oltre al quarto posto in Portogallo, sicché Alboreto chiuse la stagione al quarto posto nella classifica piloti.

Nel 1985 i test invernali evidenziarono una migliorata competitività della Ferrari 156-85 e, infatti, la vettura, senza l’interruzione del Belgio a metà anno e il calo di competitività nella seconda parte di stagione avrebbe consentito ad Alboreto di conquistare il meritato titolo mondiale. La stagione iniziò con due secondi posti in brasile Portogallo, il ritiro in Argentina e un nuovo secondo posto a Montecarlo che precedettero il successo in Canada. Nel frattempo era stato rinviato il GP del Belgio poiché l’asfalto si sbriciolava con Alboreto miglior tempo il venerdì. Alboreto vinse ancora in Germania, ma non fu in grado di contenere la rimonta di Prost, complice anche numerosi ritiri che lo relegarono al secondo posto nel mondiale. Fu quella la miglior stagione in Formula 1 di Alboreto.

Nel 1986 la F1-86 risultò subito non competitiva e la stagione iniziò con uno spettacolare incidente di Alboreto nelle prove libere del Brasile. Il miglior risultato stagionale di Alboreto fu il secondo posto in Austria e Alboreto chiuse nono nel mondiale. Nell’87 con la F1-87 Alboreto salì sul podio tre volte: a inizio stagione due volte terzo San Marino e Monaco e secondo in quello finale di Australia che diede ad Alboreto il settimo posto nella classifica piloti. Il 1988 partì subito come un’annata di transizione visto che la Ferrari aveva deciso di concentrarsi sulla versione aspirata della monoposto, poiché la FIA aveva deciso di bandire i turbo a fine anno. Il miglior risultato di Alboreto fu il secondo posto di Monza dietro il compagno di squadra Gerard Berger chiudendo quinto nel mondiale.

A fine anno Alboreto lasciò la Ferrari per accordarsi nuovamente con la Tyrrell per la stagione 1989 ottenendo un terso posto in Messico, nonostante la scarsa competitività della vettura. Dopo il Gran Premio del Canada Tyrrell firmo un accordo di sponsorizzazione con la Camel, incompatibile con la Marlboro sponsor di Alboreto e dopo aver saltato due gare il milanese lasciò la squadra per accordarsi con Gerard Larrousse per guidare la sua Lola fino a fine stagione. Negli anni successivi Michele Alboreto ebbe a disposizione vetture non competitive e conquistò un solo punto nella sua ultima stagione nella massima formula con il sesto posto a Montecarlo 1994 comunicando la decisione di passare al DTM per l’anno successivo.

Nel 1985 corse con l’Alfa Romeo 155 nel DTM e nel campionato IMSA ottenendo la Pole Position alla 24 Ore di Daytona e alla 12 Ore di Sebring ed effettuò dei test in Formula Indy con una Lola con la quale realizzò il miglior tempo nelle prove libere della gara di esordio e partì in pole position alla 24 Ore di Le Mans. Nel 1997 disputò poche gare su vetture con le ruote coperte vincendo la 24 Ore di Le Mans con la TWR Porsche WSC 95. Nel 1999 il team Joest divenne squadra ufficiale Audi Sport per correre con le barchette Audi R8r vincendo poco tempo prima di morire la 12 Ore di Sebring con Dindo Capello e Laurent Aiello.

Persona particolarmente riservata, di rara sensibilità, Michele Alboreto amava la musica blues e suonava il basso, ed era amico di George Harrison. Si interessava di astronomia e la fantascienza. Praticava lo sci, il calcio (fece parte del consiglio amministrazione del Torino Calcio). In gioventù era tifoso di Ronnie Peterson a cui aveva dedicato il casco riprendendo i colori della Svezia. I funerali di Michele Alboreto si svolsero tre giorni dopo nel cimitero di Basiglio (MI) per poi venire cremato per volere della moglie Nadia e delle due figlie Alice e Noemi.

Buon compleanno Lorenzo Bandini  

BARCE (oggi al Marj, Libia) 21 dicembre – Lorenzo Bandini nacque a Barce (in Libia allora italiana) il 21 dicembre 1935 e morì in un tragico incidente nel Principato di Monaco, il 10 maggio 1967.

Già tre anni dopo la sua nascita, però, la famiglia tornò in Italia, a San Cassiano, piccola frazione del comune di Brisighella, in provincia di Ravenna. Il padre di Lorenzo acquistò un albergo, permettendo un discreto tenore di vita alla famiglia, ma la guerra ne spezzò il benessere. Perduto il padre ucciso dai partigiani, Bandini cercò di contribuire al fabbisogno della famiglia, lavorando in un’officina a Reggiolo (in provincia di Reggio Emilia). Nel 1950 si trasferì a Milano, ove trovò impiego presso l’officina di Goliardo Freddi, padre della futura moglie di Bandini, Margherita. Fu proprio Freddi a lanciare Bandini nel mondo dei motori. Nel 1956 fece il suo debutto assoluto nelle gare automobilistiche: il suocero Freddi gli prestò, infatti, la propria FIAT 1100 TV bicolore per partecipare alla Castell’ArquatoVernasca. Bandini si piazzò quindicesimo. Il pilota romagnolo cercò di maturare quanta più esperienza possibile, partecipando a diverse gare e vincendone pure una (la Lessolo-Alice).

Nel 1957 colse il primo successo di spessore: su una Lancia Appia coupé concluse al primo posto nella classe 2000 Gran Turismo alla Mille Miglia. Ormai lanciato, ottenne negli anni a seguire ottimi risultati uno dietro l’altro (due terzi posti alla Coppa d’Oro di Sicilia, primo di categoria nella Coppa Madunina, a Innsbruck e alla Catania-Etna, primo al Trofeo Crivellari di Formula Junior e ancora un primo posto al Gran Premio della Libertà a Cuba, a bordo di una FIAT-Stanguellini), ritagliandosi ormai una certa fama. Il suo sogno era, però, l’approdo in Formula 1. Nel 1961, dopo aver vinto la Coppa Junior a Monza sperava di poter pilotare una Ferrari, nel frattempo messa a disposizione, su iniziativa della FISA, di un giovane emergente, ma la scelta cadde su un’altra stella nascente dell’automobilismo italiano, Giancarlo Baghetti.

L’esordio in Formula 1 sembrò rimandato, ma Mimmo Dei, patron della Scuderia Centro Sud, offrì a Bandini un contratto per la stagione 1961. Il debutto ebbe luogo il 18 giugno al Gran Premio del Belgio e la gara si concluse dopo 20 giri a causa di un guasto. La stagione fu in effetti sterile di risultati (Bandini non collezionò neanche un punto, vedendo la bandiera a scacchi solo in Gran Bretagna e in Italia), ma le doti del giovane pilota romagnolo erano ormai palesi e veniva ritenuto una delle migliori speranze dell’automobilismo italiano. A dicembre Enzo Ferrari gli propose, infatti, un contratto per la stagione successiva. Il 1962 fu una stagione deludente per la Ferrari, che soffrì la potenza delle case motoristiche britanniche (BRM, Lotus e Cooper su tutte). Bandini fece il suo esordio a Pau, in una gara non valida per il mondiale, e disputò il Gran Premio di Monaco il 3 giugno, cogliendo subito un terzo posto dietro a Bruce McLaren e Phil Hill. La Ferrari però lesinò a utilizzarlo: Bandini tornò in pista solo in Germania (ritirato) e Italia (ottavo) e alla fine fu dodicesimo in classifica con 4 punti. Bandini comunque vinse il GP del Mediterraneo a Enna (una corsa di F1, seppur non valida per il Mondiale). Anche l’anno seguente non fu il massimo. Bandini esordì solo al quarto gran premio della stagione (decimo posto in Francia) e non andò oltre il quinto posto, conquistato in tre occasioni (Gran Bretagna, USA e Sudafrica). A fine stagione concluse decimo in classifica con 6 punti. Il 1963 non fu, però, un anno privo di alcun risultato: i piazzamenti nelle gare ufficiali, uniti alla vittoria della 24 Ore di Le Mans (con Ludovico Scarfiotti) e ad altri risultati in prove non incluse nel calendario di F1 fecero di Bandini il “Campione Italiano Assoluto” dell’anno.

Bandini venne quindi confermato in Ferrari per 1964, con il ruolo di secondo pilota.In quell’anno, il pilota romagnolo ottenne i suoi risultati migliori. Tornò sul podio in Germania, dopo il quinto posto in Gran Bretagna, e ottenne, il 23 agosto la sua prima (e unica) vittoria in un Gran Premio valido per il Campionato Mondiale di Formula 1: è il Gran Premio d’Austria a Zeltweg, che si aggiudicò precedendo di 6”18 Richie Ginther su BRM. Il terzo posto in Italia fece da antifona all’ulteriore podio conquistato nell’ultima gara, in Messico. Qui Bandini giunse nuovamente terzo, dopo aver dato un valido contribuito al compagno di scuderia John Surtees, avendo tenuto dietro per diversi giri il diretto rivale di quest’ultimo per la conquista del titolo, Graham Hill, con cui ebbe anche un piccolo incidente. Surtees vince il titolo, grazie anche al contributo Bandini, che si classificò quarto con ben 23 punti. Poche settimane dopo la gara, però, si scatenarono alcune polemiche sul comportamento tenuto dal pilota italiano, che ricevette una lettera, in cui venne criticato per la sua guida da Peter Garnier e Jo Bonnier, rispettivamente segretario e presidente della Grand Prix Drivers’ Association. Bandini respinse le accuse, liquidando il contatto con Hill come normale incidente di gara. Il 1965 sembrò aprirsi bene, con la vittoria della Targa Florio con Nino Vaccarella. Il 30 maggio a Monaco, seconda gara della stagione (la prima, in Sudafrica, si era conclusa con il quindicesimo posto), Bandini concluse secondo, dietro a Graham Hill, ma il prosieguo di stagione non fu dei migliori. Per quanto il motore lo tradisca solo una volta (in Gran Bretagna), Bandini andò a punti solo in Germania (sesto), in Italia (quarto) e negli USA (quarto). Alla fine della stagione giunse sesto con 13 punti.

Bandini era deluso, ma anche la stagione 1966 non risultò delle migliori. Nonostante l’ottimo avvio, col secondo posto a Montecarlo e il terzo in Belgio che lo proiettarono in testa alla Classifica Mondiale dopo i primi due GP, Bandini vide la bandiera a scacchi solo altre due volte (sesto posto sia in Olanda che in Germania). Alla terza gara, il Gran Premio di Francia, ottenne la pole position e condusse in testa per due terzi di gara prima di subire la rottura del cavo dell’acceleratore. Il pilota, che aveva tentato di ovviare al guasto utilizzando un fil di ferro preso da una rete metallica a bordo pista, fu costretto a desistere poco dopo, terminando undicesimo, con undici giri di distacco dal vincitore. A Monza riuscì a prendere la testa, ma, già al secondo giro, fu costretto a rientrare ai box. Rientrato in pista ebbe successivamente un guasto alla pompa-benzina e si dovette ritirare. Si presentò quindi al Gran Premio degli USA tra i favoriti e, al termine delle qualifiche, risultò terzo. In gara fu poi protagonista di un lungo duello con Jack Brabham, ma, forse per l’eccessivo sforzo richiesto alla propria vettura, il motore cedette, proprio mentre l’italiano era in testa alla corsa. Al termine della stagione risultò, quindi, solo nono in classifica con 12 punti.

Il 1967 iniziò ottimamente per Bandini, che si impose, in coppia con Chris Amon, nella 24 ore di Daytona. Il successo ottenuto, oltre a dare morale al pilota, gli garantì una discreta popolarità oltreoceano, tanto che pareva dovesse prendere parte alle prove della 500 Miglia di Indianapolis. Ad aprile, poi, Bandini si impose nuovamente alla 1000 km di Monza, sempre in coppia con il neozelandese. Il pilota romagnolo parve aver reagito nel migliore dei modi allo sfortunato biennio 1965-66 ed Enzo Ferrari gli affidò la prima guida della rossa, al fianco di Amon. La Ferrari non si presentò al Gran Premio del Sudafrica, esordendo direttamente nel secondo appuntamento mondiale: quello di Monaco. Bandini riuscì a partire dalla seconda posizione, a fianco di Jack Brabham, e al via riuscì a prendere il comando. Intanto, l’australiano aveva avuto un cedimento al motore e aveva inondato d’olio la pista, su cui scivolò, al passaggio successivo, l’ignaro Bandini, che perse due posizioni, a vantaggio di Hulme e Jackie Stewart. L’italiano cominciò quindi una lunga rimonta e al 61° dei 100 giri previsti fece segnare un distacco di appena 7”6 secondi dal neozelandese. Ma proprio a questo punto l’italiano trovò sulla sua strada due doppiati: Pedro Rodríguez e Graham Hill. Il primo si fece facilmente superare, ma il secondo, forse memore dei fatti del Gran Premio del Messico 1964, lo ostacolò per diverse tornate, facendogli aumentare ulteriormente il distacco. Ma gli sforzi per sorpassare il pilota della Lotus lo avevano spossato, tanto che nei giri seguenti il divario crebbe fino a 20 secondi.

Poi, all’82º giro si consumò la tragedia: Bandini giunse alla chicane del porto a velocità nettamente superiore a quella di solito tenuta dai piloti in quel punto e la sua Ferrari, dopo aver colpito una bitta di ormeggio delle navi, decollò e ricadde pesantemente a terra, capovolgendosi e prendendo fuoco. Le fiamme furono alimentate dalle balle di fieno poste a bordo pista. I soccorsi non intervennero tempestivamente, anche perché si pensava che il pilota fosse stato sbalzato fuori dalla vettura e fosse finito in acqua, com’era successo ad Alberto Ascari nel 1955. Solamente quando l’incendio venne domato e l’auto fu raddrizzata, tre minuti e mezzo dopo l’impatto, si scoprì la terribile realtà: il pilota, ormai privo di sensi, era ancora all’interno della Ferrari, pressoché carbonizzato. Bandini venne trasportato al Nosocomio di Montecarlo in condizioni critiche, con una profonda ferita alla milza e ustioni su oltre il 60% del corpo. Purtroppo ogni tentativo dei medici di salvargli la vita risultò vano e Lorenzo Bandini si spense, dopo settanta ore di agonia, il 10 maggio 1967.

La morte di Bandini, amatissimo dagli appassionati di Formula 1 del tempo e dagli italiani tifosi della Ferrari, lasciò un grande vuoto nel mondo automobilistico. Ai funerali, svoltisi a Reggiolo, parteciparono oltre 100.000 persone.

Buon compleanno Carlo

Pistoia, 19 settembre – Carlo Chiti nacque a Pistoia il 19 dicembre 1924 ed è morto a Milano il 7 luglio 1994. Amante dei cani e della buona tavola, dopo aver conseguito la laurea in ingegneria aeronautica all’Università di Pisa, nel 1952 entrò a far parte del reparto corse dell’Alfa Romeo che aveva conquistato il campionato del Mondo di Formula 1 nel 1950 con Nino Farina e nel 1951 con Juan Manuel Fangio. Dopo cinque anni di permanenza nella squadra del Portello, che nel frattempo aveva abbandonato la massima formula, Chiti, dopo aver contributo al successo mondiale della Ferrari 256 con Mike Hawtorn (158) venne chiamato da Ferrari per progettare la prima Formula 1 a motore posteriore della scuderia del Cavallino: la Ferrari 156 F1. Questa vettura vinse sia il Campionato del Mondo di Formula 1 piloti con Phil Hill sia il Campionato Costruttori. Nonostante la stagione vincente, cinque vittorie in sette Gran Premi, Chiti a fine stagione abbandonò la Ferrari per dissapori con l’ingegner Ferrari per andare a progettare una nuova monoposto per la neonata ATS, casa automobilistica appena nata a Bologna che corse sei Gran Premi di Formula 1 fra il 1963 e il 1964 senza per altro segnare punti.

Già nel 1963 Chiti abbandonò il progetto ATS per fondare assieme a Ludovico Chizzola l’Auto Delta a Tavagnacco (UD) che inizia l’attività allestendo la Giulia TZ, poi nel 1964 crea le Giulia GTA, imbattibili nella propria categoria in pista. Nel 1966 l’Autodelta come azienda indipendente venne messa in liquidazione con la creazione del nuovo reparto corse dell’Alfa Romeo di cui Chiti divenne direttore generale. Oltre a continuare lo sviluppo corsaiolo delle vetture turismo, quali la GTAm e la Giulia TZ2, già nel 1967 nasce la Tipo 33 per le corse (da cui derivò uno splendido esemplare stradale vestito da Franco Scaglione) il cui primo esemplare, progettato in Alfa Romeo nel 1965 era stato mandato in Auto Delta per lo sviluppo. La Tipo 33, in versione 2 litri 8 cilindri debutta a Fléron in Belgio il 12 marzo 1967 ottenendo immediatamente la vittoria nelle mani di Teodoro Zeccoli. Costantemente evoluta, la 33 adotta il motore 12 cilindri (33 TT 12) che vince il Campionato del Mondo Sport Prototipi nel 1975, bissato nel 1977.

Lo stesso motore venne utilizzato dalla Brabham sulla sua BT46 rimasta nella storia per la vittoria del “ventilatore” ad Andrestorp 1978 con Niki Lauda e poi sulle monoposto schierate dalla stessa Alfa Romeo a partire dal 1979 (esordio Belgio di quell’anno). Come miglior exploit ottenne due pole position: una con Mario Andretti (GP d’Italia) e l’altra con Bruno Giacomelli, che condusse al comando 31 giri del Gran Premio degli Stati Uniti 1980 dopo essere partito al palo.

Nel 1985 Carlo Chiti lasciò il timone di comando dell’Alfa Romeo-Autodelta per fondare la Motori Moderni con Piero Mancini e fornire i motori a Giancarlo Minardi, in procinto di entrare in Formula 1.

Di Chiti sono da ricordare le Giulia TZ, le Alfa Romeo GTA e le varie versioni della 33 e le Formula 1 Alfa della prima meta degli anni Ottanta, oltre all’ATS 2500 GT e la Ferrari GTO.

Buon compleanno Séb  

GAP (Francia), 17 dicembre – Sébastien Ogier, sette volte campione del mondo rally (otto contando il titolo WRC Junior), è nato a Gap, il 17 dicembre 1983. In carriera ha vinto sette volte il titolo mondiale assoluto piloti: quattro volte con la Volkswagen Polo (2013, 2014, 2015, 2016) due volte con la Ford Fiesta WRC (2017 e 2018) e nel 2020 con la Toyota Yaris, oltre al titolo Junior WRC nel 2008, anno del suo esordio nel mondiale; nel 2007 ha vinto il Volant Peugeot-Rallye Jeunes. In totale ha disputato 189 rally (156 nel mondiale), vincendone 54 di cui 49 nella serie iridata. Nel mondiale ha esordito nel 2008 al Rally Corona Mexico con la Citroën C2 S1600 chiudendo ottavo assoluto, primo di Junior WRC e primo di S1600. La sua ultima gara iridata è stata il recente ACI Rally Monza, che ha vinto, e gli ha regalato la settima corona iridata. Nel corso della sua carriera ha vinto 589 prove speciali mondiali, la prima al Wales Rally GB 2008, l’ultima la PZero Grand Prix a Monza, raccogliendo anche 2037 punti iridati.

L’esordio di Sébastien Ogier avvenne al Rallye Terre de l’Auxerrois del 2007. Delle 189 gare disputate ha corso 186 volte con Julien Ingrassia. Si è ritirato solo 22 volte nel corso della carriera.

 

Buon compleanno Paul Bracq  

BORDEAUX (Francia), 13 dicembre – Paul Bracq nasce a Bordeaux in Francia, il 13 dicembre 1933 ed è uno dei maggiori designer automobilistici del XX secolo. Sue sono la Mercedes W113 SL, conosciuta come Pagoda, le BMW degli anni Settanta e gli interni della Peugeot 205. Come molti designer il giovane Bracq esprime una forte propensione verso l’arte figurativa che concretizza nel design, ma anche nella scultura. A soli vent’anni approda allo studio di design di Philippe Charbonneaux che in quel periodo realizza un prototipo di limousine presidenziale su base Citroën. Nella metà degli anni Cinquanta effettua il servizio militare in Germania, entrando in contatto con le industrie automobilistiche tedesche. Terminato il servizio militare nel 1957 viene assunto dalla Daimler Benz, divenendo in breve il responsabile della sezione Advanced Design firmando immediatamente alcuni capolavori. Come la limousine di prestigio Mercedes 600 (W100) antagonista di Rolls-Royce e Bentley, la roadster 230/250/280 SL “Pagoda(W113) presentata nel 1963 al salone di Ginevra, da molti considerato il suo capolavoro, oltre alla berlina di lusso W108/109 presentata al Salone di Francoforte del 1965, la berlina W114/115 del 1968, collaborando con un altro grande del design, Bruno Sacco, approdato alla Mercedes nel 1958.

Dopo dieci anni Paul Bracq lascia la Mercedes e nel 1967 torna in Francia per occuparsi del design del TGV per la SNCF, Société Nationale des Chemins de fer Français. Tre anni dopo, però, nel 1970, è nuovamente in Germania alla corte della BMW per la quale disegna la Serie 3 (E21) Serie 5 (E12) Serie 7 (E24) il coupé Serie 6 (E24) nonché la show car BMW Turbo del 1972 prodotta in due soli esemplari dalla Casa bavarese in celebrazione dei giochi olimpici che proprio in quell’anno si svolgevano a Monaco di Baviera, che nella primavera successiva si aggiudica il prestigioso premio di “Concept Car of the year” della rivista Revue Automobile Suisse.

Nel 1974 torna in Francia accasandosi presso la Peugeot per la quale si occupa degli interni della 205. Terminata l’attività come designer automobilistico presso le grandi case, Paul Bracq rimane attività come artista nell’ambito della scultura e di realizzatore di grafiche, molto ricercate dai collezionisti di automobilia, nonché come giudice nei concorsi di eleganza.

Accadde oggi: che vittoria Henri all’esordio sulla Delta S4

NOTTINGHAM (Inghilterra), 28 novembre 1985 – È in questa data di 35 anni fa che il mito apre le porte a Henri Toivonen e alla Delta S4.

L’allora ventinovenne pilota finlandese, affiancato dal navigatore inglese Neil Wilson, portò al debutto la nuova arma di casa Lancia, la Delta S4 e lo fece nel modo migliore. Vincendo. Sbaragliando la concorrenza. Pur penalizzato di un minuto e venti secondi, l’equipaggio della Lancia Martini vinse la gara con un vantaggio 56” sull’altra Lancia Delta S4 di Markku AlenIlkka Kiwimaki (a dimostrazione della bontà del progetto S4, visto che il terzo classificato, Tony Pond-Rob Arthur, MG Metro 6 R4, chiuse a 2’27” e la prima Audi quattro S2, quarta di Per Eklund-Bjorn Cederberg addirittura a 26’30”). Risultando il più veloce in 18 delle 65 prove speciali sterrate, su un percorso di 896 km sterrati. Cose di altri tempi.

Purtroppo.

Il progetto Lancia Delta S4 prese il via per dare continuatività ai successi mondiali di Fulvia, Stratos, 131 Abarth e 037. Il team di cervelli che fece nascere la Delta S4 era composto da una troika di ingegneri guidati da Claudio Lombardi, insieme a Sergio Limone e Paolo Messori e fu una delle vetture più potenti dell’era Gruppo B, con il suo motore quattro cilindri e doppia sovralimentazione, che le permettevano di raggiungere i 600 CV. Dopo essere stata sviluppata nel corso del 1985 da Miki Biasion e Giorgio Pianta, fece il suo esordio al RAC 1985 con la doppietta di Henri Toivonen davanti a Markku Alen. Nel corso della sua brevissima carriera la Delta S4 prese parte a dodici gare iridate, vincendone cinque (RAC 1985 e Monte Carlo 1986 con Toivonen; Argentina 1986 con Miki Biasion; San Remo e Olimpus Rally con Markku Alen) chiudendo la carriera a fine 1986 quando le Gruppo B furono messe al bando.

Buon compleanno Karl  

KARLSRUHE (Germania), 25 novembre – Karl Friedrich Benz nacque in Germania a Karlsruhe, il 25 novembre 1844  e morì a Ladenburg, 4 aprile 1929; è considerato l’inventore dell’autovettura, e secondo alcune teorie Karl Benz avrebbe ispirato il nome della benzina, dato che la benzina in tedesco si chiama “Benzin“.

Karl Benz nacque in realtà con un altro nome, Karl Friedrich Michael Vaillant, figlio di Josephine Vaillant e di Johann Georg Benz. Il piccolo Karl nacque quando i due genitori non erano ancora sposati, ma quando compì il primo anno di vita, essi contrassero matrimonio e divennero a tutti gli effetti la famiglia Benz, una famiglia destinata ad un triste destino. Il padre, macchinista ferroviario, morì quando Karl aveva appena due anni, lasciando la giovane moglie in serie difficoltà economiche e con un bambino in tenera età da tirare su. Questo tragico evento non fece arrendere Josephine Vaillant, la quale cambiò il cognome al piccolo Karl da Vaillant a Benz in ricordo del padre. La donna, al prezzo di notevoli sacrifici e privazioni, riuscì a provvedere ad una solida educazione e preparazione per il figlio. I primi studi avvennero alla scuola ad indirizzo grammaticale di Karlsruhe. La città natale di Benz forniva la possibilità di frequentare il liceo. Benz si iscrisse a tale liceo nel 1853, a soli nove anni di età. La sua grande propensione per le discipline tecniche e scientifiche lo spinse poi a frequentare il politecnico, che cominciò a frequentare il 30 settembre del 1860, e dove sviluppò tali attitudini sotto l’occhio dei professori Redtenbacher e Grashof, i quali prepararono Karl Benz allo studio dei motori. In realtà la madre avrebbe desiderato per il figlio una carriera come impiegato, ma la passione del giovane Karl per la tecnica ebbe alla fine la meglio: il 9 luglio 1864, Karl Benz conseguirà il diploma.

Si dice che Karl Benz abbia cominciato a focalizzare nella sua mente i concetti basilari della costruzione di una vettura non mossa da cavalli, osservando il funzionamento della meccanica della sua bicicletta tutte le volte che percorreva la distanza tra casa e scuola. Al termine degli studi presso il politecnico di Karlsruhe, Benz entra come apprendista in quella Karlsruher Maschinenfabrik che un paio di anni più tardi, pochissimo tempo dopo che Benz lascerà questa esperienza lavorativa, vedrà nientemeno che Gottlieb Daimler come direttore tecnico. Circostanze come questa faranno parte dei rarissimi punti di contatto tra i due personaggi, che avranno ruoli fondamentali nella nascita dell’automobile, ma che di fatto, pur risiedendo e lavorando a poca distanza l’uno dall’altro, non avranno mai modo di conoscersi di persona ed agiranno ognuno all’insaputa dell’altro. Nel 1866, quindi, Karl Benz lascia la Karlsruher Maschinenfabrik per trasferirsi a Mannheim come progettista di bilance ed in seguito, nel 1869, a Pforzheim come direttore in una ditta costruttrice di ponti. In questo periodo conosce Bertha Ringer, destinata a divenire sua moglie: anch’essa avrà un ruolo non trascurabile per quanto riguarda la nascita dell’automobile. La futura signora Benz entrerà però in causa già molto tempo prima nella vita professionale di Karl Benz. Questi, infatti, sempre a Pforzheim, fonderà assieme all’amico August Ritter una società di costruzioni, che però avrà vita breve a causa di dissidi nati ben presto tra i due. Karl Benz ha bisogno di un cospicuo fondo economico per rilevare la quota societaria di Ritter e Bertha Ringer convince il padre a concederle la dote, che verrà impiegata da Benz proprio per liquidare Ritter e registrare la ditta, ora di sua esclusiva proprietà, come Karl Benz Eisengießerei und mechanische Werkstätte (Officina Meccanica e Fonderia Karl Benz). Il 20 luglio del 1872, Karl Benz convola a nozze con l’intraprendente Bertha Ringer ed il 1º maggio dell’anno seguente nasce il primogenito della famiglia Benz, Eugen, seguito dal secondogenito Richard il 21 ottobre del 1874. Se dal punto di vista strettamente famigliare, la situazione appare felicissima, non si può dire lo stesso per quanto riguarda gli affari e la situazione comincia a precipitare, fino a che nel 1877, la fonderia di Benz è costretta a chiudere con un “buco” di 2000 marchi dell’epoca. Il 1º agosto dello stesso anno viene alla luce Klara Benz, terzogenita di Karl e Bertha.

 

La famiglia Benz che si allargava man mano, però, richiedeva risorse per il suo sostentamento, risorse che cominciavano a mancare. Benz cominciò nuovamente a pensare al nuovo tipo di attività a cui poteva dedicarsi e lo trovò nei motori a gas, consapevole del successo che stavano ottenendo presso la Deutz Gasmotorenfabrik AG di Colonia, azienda fondata da Nikolaus August Otto e nella quale lavoravano due personaggi di enorme spessore come Gottlieb Daimler e Wilhelm Maybach, anch’essi destinati, come Benz, a dare l’impulso definitivo alla diffusione dell’automobile in Europa e nel mondo. Per oltre due anni, Benz si dedica alla creazione ed alla messa a punto del suo motore, inizialmente un due tempi (a cui però già dal 1876 stava lavorando Dugald Clerk che nel 1881 lo brevettò), visto che il quattro tempi era protetto dal brevetto di Otto. Fu il 31 dicembre del 1879 che Benz, finalmente, riuscì a far funzionare il suo motore come sperava, dopo aver investito i pochi denari suoi e della moglie. In seguito, ottenne un finanziamento da un suo amico fotografo, grazie al quale riuscì a perfezionare il motore in maniera definitiva. Nel 1882, Benz riuscì ad aprire persino una nuova ditta dedita alla costruzione di motori a gas, la Aktiengesellschaft Gasmotorenfabrik in Mannheim con sei persone alle sue dipendenze. Ma i guai finanziari non erano ancora appianati, anzi. Le banche tornarono nuovamente a bussare alla porta di Benz, il quale, dopo pochi mesi dalla sua apertura, lasciò la società, tra l’altro rimanendo con poche risorse in termini di buonauscita. A ciò si aggiunse anche la nascita della quarta figlia, Thilde Benz, equivalente ad una bocca in più da sfamare.

Per fortuna, l’eco dei nuovi motori di Benz si stava già diffondendo dovunque, pertanto Benz trovò nuovi finanziatori disposti a concedergli dei fondi per rimettere in piedi una nuova azienda, la Benz & Cie. Rheinische Gasmotorenfabrik in Mannheim, fondata il ottobre del 1883. Stavolta la fortuna girò dalla parte dell’instancabile Karl Benz: la rendita arrivò e Benz poté finalmente mettere da parte le risorse per la famiglia e per il futuro della sua azienda, mentre le banche divennero più fiduciose. Benz cominciò quindi a pensare alla realizzazione di un motore atto a muovere una vettura senza bisogno di cavalli. Si rese conto ben presto che l’unico modo era di utilizzare un motore a quattro tempi, vincolato però dal brevetto di Otto. Il momento propizio si presentò all’inizio del 1886, in occasione della causa legale in corso tra lo stesso Otto e Gottlieb Daimler. La sentenza emessa dal tribunale, che diede ragione a Daimler, liberò il motore a quattro tempi da ogni vincolo legale e Benz poté così registrare il suo motore e la vettura su cui era montato, la Benz Velociped con un unico brevetto, consacrandosi così come l’inventore della prima autovettura al mondo. Benz presentò a varie manifestazioni le sue nuove invenzioni, ma l’impulso propagandistico definitivo arrivò nientemeno che dalla moglie Bertha, la quale rubò di nascosto una Velociped dall’officina del marito ed assieme ai due figli maggiori, Eugen e Richard, intraprese un avventuroso viaggio di 45 km verso Pforzheim, a casa dei suoi genitori, ed altrettanti km di ritorno. L’impresa ebbe un’eco mediatica enorme e la fama di Benz si diffuse rapidamente. Tra moti di entusiasmo, sospetti e detrattori, Karl Benz poté espandere i suoi affari e dedicarsi ad autovetture e motori statici, ottenendo in entrambi i casi risultati commerciali brillanti. Le sue autovetture cominciarono anche ad essere prodotte in Francia su licenza. Il 16 marzo del 1890 vi fu un nuovo arrivo in famiglia: nacque infatti la quinta ed ultima figlia di Karl Benz, Ellen. Ma ben presto sul fronte autovetture, le ordinazioni cominciarono a scemare e Benz si buttò a capofitto nella realizzazione di una nuova vettura. Da questo progetto nacque la Benz Viktoria (1893), destinata ad un successo più rimarchevole, ed in seguito anche la Velo (1894), erede dell’oramai inadeguata Velociped. Durante l’ultimo decennio del Secolo XIX, gli affari andarono talmente bene che Benz divenne il primo costruttore di automobili al mondo, superando la stessa DMG, che nel frattempo era stata fondata da Daimler, Maybach ed altri soci. Vennero brevettati vari altri veicoli che lo stesso Benz provvedeva a collaudare sulle strade francesi ritenendole in migliore stato rispetto a quelle del proprio paese.

Nel 1901 si ebbe un improvviso crollo di vendite, dovuto all’agguerrita concorrenza della DMG, che aveva immesso nel mercato le sue Mercedes 35PS, ben più moderne e prestanti rispetto alle Benz che avevano trionfato commercialmente fino a poco tempo prima. Karl Benz, dal canto suo, non era per niente incline ad apportare innovazioni ai suoi modelli, poiché rifiutava l’idea dell’autovettura come mezzo ad alte prestazioni o addirittura da impiegare in gara. Ma stavolta dovette arrendersi all’evidenza e soprattutto alla volontà dei suoi soci, che invece erano decisi a dare una svolta produttiva e a rivoluzionare la gamma Benz. Fu a quel punto che Benz lasciò stizzito la sua azienda per dedicarsi per conto suo alla produzione di motori. Ma i risultati non arrivarono né da una parte né dall’altra. Si giunse ad una riconciliazione tra le parti e Benz tornò alla sua azienda. Ma si era tornati in difficoltà economiche e si decise quindi di tagliare parte del personale, tenendo i migliori. Da ciò nacque la gamma Parsifal, dotata di diverse innovazioni tecnologiche rispetto alla precedente gamma, a tal punto da suscitare nuovamente il disappunto di Benz, che nell’aprile del 1903 lascia definitivamente l’azienda, ma le offrì consulenza per tutta la vita, così come per tutta la vita, ed a partire dal 1904, fu invitato ad entrare a far parte del suo consiglio di amministrazione.

Qualche tempo dopo aver lasciato la sua azienda, Karl Benz fondò la Karl Benz Söhne, che propose alcune autovetture, ma con poco successo. Il 25 novembre del 1914 Benz ottenne la laurea ad honorem, consegnatagli dal Politecnico di Karlsruhe presso cui aveva studiato molti anni prima. Successivamente, nel 1926, la Benz & Co. si fuse con la DMG. La nuova casa automobilistica, la Daimler-Benz AG appunto, ebbe un grande successo e il nome di Benz è tuttora legato al celeberrimo marchio della Mercedes-Benz. Karl Benz trascorre gli ultimi anni della sua vita con serenità, consapevole di aver fatto sempre la cosa giusta. Muore il 4 aprile del 1929 per una bronchite, un anno funesto per altre personalità legate ai marchi della Daimler-Benz: nello stesso anno morirono infatti Wilhelm Maybach e Mercedes Jellinek, che diversi anni prima aveva dato il suo nome alle prestigiose vetture con la stella a tre punte.

Dal 1984, Karl Benz è entrato a far parte del novero dei maggiori personaggi del campo automobilistico inseriti nell’ Automotive Hall of Fame.

Buon compleanno Pietro Bordino, “Diavolo Rosso”

TORINO, 22 novembrePietro Bordino nacque a Torino, il 22 novembre 1887, e morì ad Alessandria, il 15 aprile 1928 nella preparazione di una corsa automobilistica, nel rettilineo che porta Valmadonna.

Negli anni Venti Pietro Bordino con Felice Nazzaro e Antonio Ascari (padre di Alberto) fu uno dei piloti italiani più famosi. Insieme a Nazzaro, il suo nome è associato alle vittorie a bordo delle FIAT da Grand Prix. Nel 1911, guida sul circuito di Brooklands e sulla spiaggia di Saltburn una Fiat S76 Record sulla quale tocca i 200 km/h, per il record di velocità sul miglio. Una delle vittorie più importanti di Pietro Bordino fu il successo al Gran Premio d’Italia del 1922, e nel corso della sua carriera corse la 500 Miglia di Indianapolis del 1925 arrivando decimo, e prese parte a dieci corse dell’American Championship Car Racing organizzato dalla AAA negli Stati Uniti d’America.

Nel 1927 portò in gara la nuova ed innovativa FIAT 806 al Gran Premio di Milano, disputato a Monza. Bordino vinse, siglando anche il giro più veloce. Dopo la corsa, la FIAT si ritirò per sempre dai Gran Premi. Morì nel 1928 ad Alessandria mentre stava provando una Bugatti prima di una gara. Improvvisamente un cane gli attraversò la strada e si incastrò sotto la vettura tra le barre dello sterzo, rendendo la vettura ingovernabile. Bordino finì in un fosso e morì annegato. Il suo copilota, Giovanni Lasagne, subì una grave frattura al cranio e spirò poco dopo. Bordino è sepolto nel Cimitero monumentale di Torino.

Buon compleanno Tazio Nuvolari  

CASTEL D’ARIO (MN), 16 novembreTazio Giorgio Nuvolari nacque il 16 novembre 1892 a Castel d’Ario, piccolo comune a una ventina di chilometri da Mantova in una famiglia di agricoltori benestanti, amanti dello sport. Il padre Arturo (la mamma si chiamava Elisa Zorzi) e lo zio Giuseppe erano ottimi ciclisti, divenuti famosi per il successo ottenuto alla riunione ciclistica internazionale di Nizza del 1893, esattamente un anno dopo la nascita di Tazio. Lo zio Giuseppe fu il primo fargli guidare una motocicletta. La ricca aneddotica fiorita attorno al nome di Tazio Nuvolari, e da lui stessa alimentata, comincia con un episodio accaduto all’età di otto anni. Colpito in modo non grave dal calcio di un cavallo, per fargli vincere la paura, il padre lanciò una moneta d’oro fra gli zoccoli dell’animale affermando “Se vuoi, prendila”. “Quel giorno smisi di avere paura delle cose e della paura stessa”. Dopo il servizio militare, in qualità di autiere nella sezione Sanità della 22esima Divisione della Terza Armata, nel 1917 sposò Carolina Perina, dopo una fuitina e solo con cerimonia civile, scandalizzando i ben pensanti dell’epoca.

Nel 1920 ottenne la licenza di pilota di moto da corsa, anche se alcune biografie retrodatano questa sua affiliazione al 1915, incorrendo nell’errore di dare per validi i cartellini del Moto Club d’Italia, che nell’immediato dopo guerra riutilizzava, per carenza di materiale, quelli pre-guerra. Si è quasi certi che la sua carriera iniziò il 20 giugno 1920 con il Circuito Internazionale di Cremona, ritirandosi, disputando allo stesso tempo anche alcune gare automobilistiche vincendo la prima, la Coppa di Verona, il 20 marzo 1921. Correre in moto costava meno e c’erano più gare, e Nuvolari decise perciò di dedicarsi maggiormente alle due ruote.

L’anno successivo corse con una SCAT con motore Hispano Suiza messagli a disposizione dalla Scuderia Moschini di Mantova preparata da Amedeo Gordini, mentre la vittoria al Circuito di Busto Arsizio del 1923 sulla Norton di sua proprietà, gli valse un contratto con l’importatore della Indian, che intendeva farne la spalla del loro pilota di punta, Amedeo Ruggeri, gerarchia che Nuvolari rispettò raramente, pertanto il contratto non gli fu rinnovato.

Nel 1924 avvenne un altro degli episodi che costruirono il mito del Mantovano Volante. Al Circuito del Tigullio, la guida spericolata di Tazio Nuvolari lo portò a uscire di strada con la sua Bianchi Tipo 18, capottando a pochi chilometri dalla fine. Il meccanico, stordito dall’incidente, non risalì in vettura e Nuvolari, con l’aiuto degli spettatori, rimise la vettura in strada e arrivo al traguardo con la Bianchi praticamente sui cerchioni, senza seggiolino di guida né meccanico. Vinse anche il circuito del Polesine e del Savio; in quest’ultima occasione conobbe Enzo Ferrari. In quell’anno gareggiò anche in moto con la sua Norton, ottenendo la vittoria al Circuito di Mantova e in quello di Cremona, successi che gli valsero l’ingaggio con la Bianchi, creando un binomio vincente fino al 1927. Nel 1925 vinse il Circuito Ostiense, a Padova, il Circuito del Lario. A settembre, in occasione del Gran Premio Motociclistico delle Nazioni, al termine delle prove delle moto, Tazio ebbe occasione di partecipare al test che l’Alfa Romeo stava svolgendo per trovare il sostituto di Antonio Ascari, morto nel precedente Gran Premi di Francia. Nuvolari eguagliò il tempo sul giro di Ascari, prima di uscire rovinosamente di strada ribaltandosi più volte. In ospedale gli vennero diagnosticate alcune costole incrinate oltre a lacerazioni e contusioni. Risoluto a prendere parte al Gran Premio motociclistico della settimana successiva, Nuvolari riuscì a farsi dimettere dall’ospedale contro il parere dei medici e a convincere la direzione gara a lasciarlo partecipare pur partendo dall’ultima fila. Fasciato stretto e fatto salire in moto dai meccanici, in quanto non in grado di farlo da solo, Nuvolari vinse la gara sotto la pioggia, laureandosi Campione Europeo della Classe 350. Ottenne perciò il rinnovo del contratto per l’anno successivo, ma la direzione della Bianchi fece inserire la clausola che gli impediva di partecipare alle competizioni automobilistiche. L’anno seguente, il 1926, fu una stagione difficile, con un brutto incidente in Germania al Circuito di Solitude, fatto che gli impedì di partecipare al Tourist Trophy, riuscendo comunque a diventare campione italiano assoluto vincendo il Circuito del Lario. Nel 1927 Tazio Nuvolari era sempre più interessato alle corse in auto e si iscrisse alla Mille Miglia con una Chiribiri, ma di fronte al veto della Bianchi, produttrice anche di automobili, disputò la gara con una Bianchi Tipo 20. Nel frattempo acquistò una Bugatti T35C con la quale vinse il Reale Premio di Roma, suo primo successo automobilistico. Si impose anche nella categoria 350 al Gran Premio Motociclistico delle Nazioni.

A fine anno Nuvolari decise di creare una propria scuderia automobilistica, la Scuderia Nuvolari, acquistando quattro Bugatti, due a sua disposizione e le altre per l’amico rivale Achille Varzi e di Cesare Pastore, finanziando l’attività grazie alla vendita del podere del padre. Nel 1928 vinse il Gran Premio di Tripoli, il Circuito del Pozzo a Verona, ad Alessandria e Messina chiudendo sesto alla Mille Miglia. Per la terza volta consecutiva vinse il Gran Premio Motociclistico delle Nazioni e il ancora il Circuito del Tigullio.

Le vetture della scuderia Nuvolari e ormai obsolete, nonostante le modifiche apportate da Alberto Massimino e Nuvolari ottennero scarsi risultati, e lui stesso deluse con l’Alfa Romeo 6C 1750 al Gran Premio del Mugello per scarso affiatamento con il mezzo e scarsa conoscenza del percorso. A fine stagione era in programma il Circuito Automobilistico del Lario e Nuvolari si presentò con la solita Bianchi, ottenendo una vittoria strepitosa che gli fece ottenere l’attenzione della Scuderia Materassi che gli mise a disposizione una Talbot per un paio di gare.

Nel 1930 l’Alfa Romeo, orfana di Gastone Brilli-Peri, deceduto al Gran Premio di Tripoli, offrì un contratto a Nuvolari per correre la Mille Miglia. Nella gara si verificò (forse) l’episodio più noto della carriera di Nuvolari. Dopo aver accumulato quasi sette minuti di ritardo, fra Ancona e Bologna recuperò il terreno perduto e a Peschiera del Garda, a fari spenti nella notte, riuscì a superare il rivale Varzi rendendo leggendario il suo nome. Dopo questo episodio venne contattato da Enzo Ferrari per farlo correre con le sue Alfa Romeo P2 della sua neonata scuderia, vincendo, fra l’altro, il Tourist Trophy a Belfast e a ottobre disputò la sua ultima gara in moto, il Circuito del Tigullio, chiuso al quinto posto.

Nel 1931 perse la sfida auto-aereo, ottenendone però notevole notorietà, gareggiando all’Aeroporto di Roma-Urbe con la sua Alfa Romeo 8C contro un Caproni CA 100.  Nell’aprile del 1932 Nuvolari venne invitato al Vittoriale da Gabriele D’Annunzio che gli donò una tartaruga dorata con la dedica “all’uomo più veloce l’animale più lento” chiedendogli in cambio di vincere la successiva Targa Florio, cosa che Nuvolari fece regolarmente con l’Alfa Romeo 8C della scuderia Ferrari, vincendo anche i Gran Premi di Monaco, di Francia e d’Italia. Il 1932 fu un anno tragico per Nuvolari che a pochi mesi di distanza perse entrambi i figli: Giorgio e Alberto.

Nonostante ciò Nuvolari continuo a correre in modo sempre più aggressivo e spericolato. Il 15 giugno 1935 sull’Autostrada Firenze-Mare batté due primati europei di velocità alla velocità media di 323,125 km/h toccando i 360 km/come velocità di punta con l’Alfa Romeo 16C Bimotore della scuderia Ferrari, nonostante il forte vento laterale che lo portò a contrastare una sbandata a oltre 200 km/h. Vinse anche il Gran Premio di Germania al Nurburgring, nonostante l’inferiorità della sua Alfa Romeo nei confronti di Audi e Mercedes, facendo imbestialire i gerarchi nazisti presenti alla gara e mandando in crisi gli organizzatori che non avevano previsto una vittoria italiana. Nuvolari, previdente, si era portato una bandiere italiana che fece issare sul pennone al posto di quella logora a disposizione degli organizzatori, ma dovette di accontentarsi di ‘O sole mio come inno al posto della marcia reale alle premiazioni.

Nel frattempo la guerra incombeva e le attività motoristiche erano in diminuzione. Il tre settembre 1946 corse la Coppa Brezzi con la Cisitalia D46 arrivando al traguardo con il volante in mano sventolato davanti agli spettato. Nel 1947 partecipò ancora alla Mille Miglia con una Cisitalia 2020 Spyder Mille Miglia, chiudendo secondo, dopo essere stato in testa per gran parte della gara e perdendo il primato solo nel tratto autostradale Torino-Brescia, piegandosi alla maggiore potenza della vettura di Clemente Biondetti. L’anno successivo corse ancora la Mille Miglia all’età di cinquantasei anni corse la Mille Miglia con una Ferrari 166 SC rimanendo in testa fino a Ospizio, nei pressi di Reggio Emilia, dove fu costretto al ritiro su ordine di Enzo Ferrari che gli impose di fermarsi visto che il Mantovano volante non voleva perdere tempo a far riparare la balestra incrinata della vettura, per non perdere il comando della gara, dopo che già aveva fatto togliere, strada facendo il cofano motore e si era rotto il supporto sedile del meccanico. Il 10 aprile 1950 corse la Palermo-Monte Pellegrino su una Cisitalia 204°-Abarth Spider Corsa della squadra di Carlo Abarth. vinse la Classe Sport fino a 1100 e chiuso quinto assoluto. Fu l’ultima corsa e l’ultima vittoria di Tazio Nuvolari.

Nuvolari non si ritirò mai ufficialmente dalle corse, ma nel 1952 fu colpito da ictus, che lo lasciò parzialmente paralizzato e morì l’11 agosto 1953 per un secondo ictus. Al funerale parteciparono circa 50.000 persone, fra le quali anche Enzo Ferrari e il feretro posto su un telaio di una vettura e scortato dai piloti Alberto Ascari, Luigi Villoresi e Juan Manuel Fangio fu sepolto nel cimitero monumentale di Mantova, indossando gli abiti che usava abitualmente in corsa: maglione giallo con il suo monogramma, pantaloni azzurri e gilet di pelle marrone. A fianco il suo volante preferito.

Buon compleanno Alfieri Maserati  

Voghera (PV), 23 settembre – Alfieri Maserati nasce a Voghera il 23 settembre 1887 e muore a Bologna il 3 marzo del 1932. Quarto dei sette fratelli Maserati, ricevendo dal primogenito Carlo la passione per la meccanica. A dodici anni lavora in una fabbrica di biciclette e nel 1902 si sposta a Milano, dove grazie al fralello Carlo viene assuno dall’Isotta Fraschini. Le sue notevoli capacità meccaniche lo portano in breve al reparto corse della Casa milanese e nel 1908 assiste la vettura di Vincenzo Trucco, vincitore della Targa Florio. Dopo quel successo la dirigenza dell’Isotta Fraschini lo invia prima a Londra, poi a Buenos Aires come capo tecnico, prima di farlo tornare in Italia nel 1912 nella filiale di Bologna.

Nel 1914 fonda la “Società omonima Officine Alfieri Maserati”, che si occupa di preparazione delle Isotta Fraschini e in seguito anche delle Diatto. Allo scoppio della guerra Alfieri Maserati progetta una candela d’accensione che costruisce nella propria ditta “Fabbrica Candele Maserati” basata a Milano e in seguito spostata a Bologna nel 1919. Che sarà sempre la sua città di elezione.

Fu anche un valente pilota. Collezionò infatti tre vittorie alla Susa-Moncenisio e due all’Aosta-Gran San Bernardo con un prototipo da lui stesso costruito basato su un telaio Isotta-Fraschini e motore aeronautico Hispano-Suiza. Dopo la chiusura della Diatto, con cui aveva uno stretto rapporto di collaborazione,  nel 1926 inizia la realizzazione della “Tipo 26” che sarà la prima vera Maserati della storia a tutti gli effetti. Con questa vettura Alfieri Maserati incapperà in un incidente che gli farà perdere l’uso di un rene. Dimostrando forza di volontà eccezionale tornerà alle corse, anche se sarà sempre meno impegnato in prima persona come pilota. Nel 1929 costruirà la “V4” la seconda Maserati della storia con la quale raggiunse i 246 km/h superando di venti chilometri orari il precedente record della Fiat Mefistofele. Questa vettura vincerà il Gran Premio di Tripoli del 1930 con Baconin Borzacchini, fatto che spingerà Benito Mussolini (grande appassionato di Maserati) a insignire Alfieri Maserati del titolo di cavaliere.

Buon compleanno Ferdinand

MAFFERSDORD (oggi Vratislavice nad Nisou, Repubblica Ceca), 3 settembre – Ferdinand Porsche nacque il 3 settembre 1975, a Maffersdorf, una località della Boemia, all’ora facente parte dell’impero Austro-Ungarico, passato alla storia per aver creato il “Maggiolino” Volkswagen e fondato la casa automobilistica che porta il suo nome: la Porsche.

La famiglia Porsche era una di religione cattolica di ispirazione calvinista. Terminata la scuola superiore, sul finire del secolo, Ferdinand Porsche si trasferisce a Vienna, all’epoca una delle capitali più importanti del mondo che sta vivendo la gioia della Belle-époque. Porsche lavora alla Béla Egger Electrical Company, studiando la sera presso l’Università Tecnica Imperiale di Reichberg. Nel 1898 Porsche, divenuto uno dei progettisti della società, realizza la Egger-Lohner C.2 Phaeton (oggi definita come Porsche P1), riuscendo a inserire un motore elettrico direttamente sul mozzo delle ruote, vettura che vince una gara per veicoli elettrici il 29 settembre 1899, su un percorso di 40 chilometri, molti dei quali in salita, nonostante avesse a bordo tre passeggeri, con ben 18 di vantaggio sulla concorrenza. L’anno successivo si svolge l’Esposizione Universale di Parigi dove è esposta la “Semper Vivus Lohner Porsche” la prima vettura ibrida della storia accoppiando due motori elettrici e due motori a scoppio, divenendo anche una vettura quattro ruote motrici. Una vera rivoluzione tecnica. La Sempre Vivus raggiunge i 35 km/h orari ed ha un’autonomia di 80 chilometri.

Nel 1906, viste le sua capacità tecniche, Ferdinand Porsche viene nominato direttore tecnico della Austro-Daimler di Wiener Neustadt, dove progettò una vettura che gli consenti di vincere una vettura in grado di raggiungere i 140 km/h, grazie anche all’aerodinamica particolarmente avanzata e vincere una gara. Nel periodo bellico l’Austro Daimler costruisce motori per aeroplani e trattori industriali progettati da Porsche. Nel 1917 Ferdinand Porsche viene nominato direttore generale della società e nel 1922 presenta la “Sascha” una vettura di appena 1100 cm3, che partecipa alla Targa Florio imponendosi nella propria categoria.

Nel 1923 Ferdinand Porsche si trasferisce a Stoccarda come direttore tecnico della Daimler-Motoren-Gesellschaft, entrando a far parte del consiglio di amministrazione della società. Realizzando per la Casa tedesca la Mercedes che otterrà la vittoria assoluta alla Targa Florio del 1924. Nel 1929 torna in Austria per assumere la direzione tecnica della Steyr-Werke AG, ma appena due anni, nel 1931 è nuovamente a Stoccarda dove fonda lo studio di progettazione Dr. Ing. h.c. F. Porsche GmbH . potendo contare sulla collaborazione del figlio Ferry.

Allo studio Porsche si rivolge l’Auto Union per la progettazione della monoposto da Gran Premio P-Wagen, rivoluzionaria vettura monoscocca in alluminio con motore posteriore 16 cilindri a V, che si imporrà nelle più importanti competizioni automobilistiche conquistando nel 1937 il record di velocità a 406,321 km sull’autostrada Francoforte-Darmstad con Bernard Rosemeyr, pilota che perderà la vita nel gennaio successivo in un nuovo tentativo di record dopo aver toccato i 429,594 km/h. Porsche, però, in quel periodo non si occupava solo di auto da record e competizione, ma anche della vettura fortemente voluta da Adolf Hitler a partire dal 1934 che voleva un’auto del popolo (Volks Wagen) che costasse solo 1000 marchi, cifra che corrispondeva allo stipendio di un operaio, iniziando così un’azione di massa. Nel 1938 Ferdinand Porsche presentò il suo progetto della Volkswagen Typ 1, nota come “Maggiolino” che avrebbe dovuto essere costruito nello stabilimento di Wolfsburg (Borgo del Popolo) città creata appositamente in Bassa Sassonia attorno allo stabilimento. Sfruttando il lavoro di progettazione della Typ-1 Porsche inizio a progettare la Porsche Type 64, prima vettura a marchio Porsche, una vettura sportiva dall’aerodinamica esasperata che avrebbe dovuto partecipare alla gara Berlino-Roma del 1939, mai corsa. Le capacità tecniche di Ferdinand Porsche furono sfruttare dai governanti tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale per la realizzazione di carri armati fra cui il famoso Panzer VI Tiger (1941) e una versione militare del Maggiolino denominata Kübelwagen, da cui derivò una versione anfibia chiamata Schwimmwagen.

Nel 1944 Stoccarda iniziò a essere bombardata dagli aerei alleati, perciò Porsche trasferì la famiglia e il suo studio di progettazione a Gmünd in Austria. Catturato dai soldati francesi e accusato di collaborazionismo, Ferdinand Porsche venne incarcerato in Francia dove rimase venti mesi, probabilmente a seguito dell’idea dei francesi di estorcergli una collaborazione e progetti da utilizzare per la loro industria. Porsche venne liberato solo dopo che l’industriale torinese Piero Dusio pagò un ingente riscatto, al fine di convincere Porsche a progettare la sua Cisitalia di Formula 1. Tornato a Gmünd nel giugno 1948, Ferdinand Porsche avviò la produzione dentro una vecchia segheria della sua Porsche 356, evoluzione della Porsche Type 64, che diffuse il marchio Porsche in tutto il mondo. Ferdinand Porsche morì a Stoccarda, il 30 gennaio 1951 a causa di un infarto, secondo molti provocato anche dai patimenti vissuti nelle carceri francesi.

Buon compleanno James

LONDRA (Inghilterra), 29 agosto – James Simon Wallis Hunt (detto per esteso come piace agli inglesi) nacque nel rione londinese di Belmont il 29 agosto del 1947 e morì nella capitale inglese il 15 giugno 1993 per un attacco cardiaco. Pilota veloce e spericolato, i connazionali lo soprannominarono “Hunt the Shunt” (“Hunt lo schianto”) per i numerosi incidenti che caratterizzarono la sua carriera, vinse dieci Gran Premi su 93 partenze, conquistando inoltre 14 giri veloci, otto pole position e soprattutto vinse il titolo nel 1976 dopo un memorabile duello con Niki Lauda concluso sulla pista del Fuji. Hunt è noto soprattutto per la sua vita spericolata, sregolata e godereccia, frequentando le discoteche anche prima delle gare, per girare scalzo nei box, in un’epoca in cui la Formula 1 cominciava a essere rigida e blindata. A soli 31 decise di lasciare la massima formula perché non si divertiva più, dedicandosi al ruolo di commentatore televisivo.

Buon atleta, da ragazzo giocò a cricket, fece il portiere nella squadra locale di calcio, disputò un torneo di tennis e praticò lo sci.

Ribelle fin dall’infanzia, iniziò a fumare da piccolo, vizio che nessuno gli tolse e imparò a guidare su un trattore durante una vacanza in Galles, prendendo la patente di guida al compimento del diciassettesimo anno. in quel periodo si recò a vedere una gara a Silverstone, dove correva Simon Ridge, fratello del suo compagno nel doppio a tennis, rimanendo affascinati dal mondo delle corse automobilistiche. Si iscrisse a una gara di Mini a Snetterton, ma non riuscì a partire perché i commissari tecnici giudicarono la su Mini irregolare, passando poi nel 1968 alla Formula Ford concludendo quinto alla sua prima gara, ottenendo una vittoria e un record sul giro nelle gare della stagione. Nel 1969 passò alla Formula 3 inglese, salendo sul podio già alla seconda gara. La stagione seguente continuò in Formula 3 con pochi risultati, molti schianti e un incidente con un altro concorrente che James Hunt affrontò fisicamente in modo rude appena sceso dalla vettura.

Nel 1972 la carriera di Hunt era in crisi quando incontro Lord Alexander Hesketh, che voleva compiere il salto in Formula 2. A fine stagione debutto a Salisburgo con la conquista della prima fila in griglia, nonostante disponesse di una vecchia March del 1971. L’anno successivo Hesketh decise di acquistare una Surtees, ma la vettura non era competitiva e il lord inglese decise di abbandonare la serie per passare alla Formula 1. Nel 1973 Hunt debutto in Formula 1 con una March 731 acquistata da Lord Hesketh, con la quale ottenne un giro più veloce e due podi nel corso della stagione. L’anno successivo Lord Hesketh fondò la propria scuderia facendo correre una vettura assolutamente bianca (“non si possono appiccicare adesivi sull’Union Jack” sosteneva Hesketh) ottenendo il successo nel Gran Premio di Olanda del 1975. L’anno successivo passò alla Mc Laren conquistando il titolo mondiale dopo la memorabile gara sotto la pioggia torrenziale al Fuji.

Soddisfatto e non più motivato nel 1979, quando era alla guida della Wolf sostenendo “lascio ora e definitivamente perché nel mondo della Formula 1” l’uomo non conta più”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pilota dallo stile di vita godereccio e già allora controverso, ebbe un ruolo di playboy non indifferente con donne affascinanti quali Taormina Rieck quando lui aveva quindici anni, Sposò la modella Suzy Miller, che poi divenne la fidanzata di Richard Burton e infine sposò Sarah Lomax, da cui ebbe due figli.

Hunt è il protagonista del film Rush di Ron Howard, che racconta il suo eterno duello con Niki Lauda. James Hunt fu cremato e sepolto nel Cimitero di Putney Vale a Londra.

Buon compleanno Achille Varzi, l’imbattibile

GALLIATE (NO), 8 agosto 1904 – “Non giocate a poker contro Achille. Vincerà lui”. Pare che questo detto circolasse fra le persone che il pilota di Galliate frequentava nel mondo delle corse. Probabilmente non perché fosse un giocatore formidabile, ma perché era così ricco che nessun rilancio gli era impossibile. Sicuramente era imbattibile era al volante delle auto da corsa con le quali colse centinaia di vittorie dopo una brillante carriera motociclistica. Achille Varzi nacque a Galliate l’8 agosto 1904 terzogenito di Menotti Varzi e Pina Colli Lanzi. Il padre, insieme allo zio il senatore del regno Ercole Varzi, aveva fondato la Manifattura Rossari & Varzi, una delle maggiori industrie tessili dell’epoca.

Come tutti i piloti dell’epoca Achille Varzi cominciò a correre in motocicletta nel 1922, aprendo una competizione familiare con il fratello maggiore Angioletto, battendolo regolarmente, L’anno successivo, a 19 anni, conquisto il Campionato Italiano Seniores (memorabile la sua vittoria al Circuito del Lario) gareggiando prima con una Garelli 350 poi con una Sunbeam 500, dopo aver disputato poco gare con la milanese Frera. Nel 1924 inizia il confronto su due ruote con Tazio Nuvolari, suo principale avversario per il resto della vita. Una strepitosa vittoria Varzi la ottenne nel 1929 proprio a Mantova, città di Nuvolari, con una Sunbeam 500, successo che gli regalò il titolo italiano assoluto.

Rivali sulle strade, ma in realtà in buoni rapporti (forse non amici) nella vita, fu proprio per l’insistenza di Nuvolari che Achille Varzi passò a correre in auto. Cominciò nel 1928 acquistando una Bugatti Type 35C, quindi l’anno successivo acquistò l’Alfa Romeo P2 che era stata del pilota ufficiale Alfa Giuseppe Campari con la quale conquistò in quell’anno, fra gli altri, il Circuito del Montenero-Coppa Ciano (1929), Circuito di Alessandria e il Gran Premio di Roma. Tornato alla Bugatti con una Type 51 vinse molte gare prestigiose come il Gran Premio di Tunisi (1931-1932), il Circuito di Monthlery in Francia (1931), il e la Susa-Moncenisio (1931).

Di quel periodo è ricca l’aneddotica dei duelli Varzi-Nuvolari, fra i quali il celebre sorpasso a fari spenti nella notte alla Mille Miglia del 1930 di Nuvolari ai danni di Varzi a fari spenti nella notte (anche se gli storici dell’auto hanno molti dubbi in proposito), e il grande duello Varzi-Nuvolari al Gran Premio di Monaco del 1933, caratterizzato da numerosi sorpassi reciproci, alla fine vinto da Varzi su Bugatti T51.

Un simile campione non poteva sfuggire a Enzo Ferrari che nel frattempo aveva fondato la sua scuderia di cui entrò a far parte Varzi nel 1934, vincendo con la formidabile Alfa Romeo P3 nuovamente il Circuito di Alessandria, Il circuito del Montenero-Coppa Ciano, il Gran Premio di Nizza, il Gran Premio di Tunisi, il Gran Premio di Penya Rhin sulle colline del Montjuic a Barcellona e la doppietta Targa Florio (che aveva già vinto nel 1930 con l’Alfa Romeo P2) e Mille Miglia.

Già l’anno successivo, però, passa all’Auto Union, lasciando l’Alfa Romeo e Ferrari, scelta che venne vista dagli sportivi italiani come un tradimento vincendo con la potentissima Typ B, progettata da Ferdinand Porsche, il Gran Premio di Tunisi (che aveva già vito la gara africana nel 1930 e 1932, toccando in questa occasione i 295 km/h) per la terza volta il Gran Premio di Tripoli, e l’anno successivo la Coppa Acerbo (già vinta nel 1930). Nel periodo in cui correva per la squadra tedesca sulla vettura, Varzi venne colpito da un attacco di appendicite. L’intervento chirurgico di appendicectomia all’epoca era molto rischioso e doloroso, e Varzi, su pressione dell’amante Ilse Hubitsch, moglie del pilota tedesco Paul Pietsh, iniziò a far uso di morfina, diventandone totalmente dipendente.

Nel 1938 Achille Varzi iniziò un percorso di disintossicazione nell’Appennino Toscano, accentando un accordo dell’Alfa Romeo per tornare a correre a fronte di un ingaggio mensile di ben 6.000 lire. Nel 1940 sposò la findanzata di sempre Norma Colombo, ma la sua carriera fu interrotta dalla Seconda Guerra Mondiale. Tornato a correre nel 1946 vincendo (a otto anni dal suo ultimo successo il Gran Premio di Sanremo del 1938, corso su Maserati Tipo 6CM) immediatamente la Coppa Bressi-Gran Premio del Valentino su Alfa Romeo 158, bissando la vittoria sul circuito di Bari. Il 1° luglio 1948 Achille Varzi morì ribaltandosi nelle prove del Gran Premio di Svizzera a Bremgarten, nei sobborghi di Berna, con la sua Alfetta 158 (quello fu un periodo nero per i colori italiani, in quanto la settimana precedente, sullo stesso circuito ma non nello stesso punto si uccise anche il campione motociclistico Omobono Tenni). Achille Varzi è sepolto nel cimitero della sua Galliate.

La vita di Varzi è raccontata nel libro di Giorgio TerruzziUna curva cieca”, edito da Giorgio Nada.

Giorgetto Giugiaro, il genio di Garessio non si ferma mai

GARESSIO (CN), 7 agosto 1938 – Giorgetto (che è il suo vero nome) Giugiaro nasce il 7 agosto 1938 a Garessio in una famiglia di pittori e affrescatori di chiese (oltre che appassionati di musica) a cominciare dal bisnonno Paolo, il nonno Luigi e il padre Mario, che sarà fondamentale per la sua evoluzione artistica. Ed è proprio il padre a spingerlo all’età di 14 anni a “migrare” a Torino per seguire i corsi di una scuola d’arte e di sera una scuola di design tecnico ed entrare così in contatto con il mondo Fiat, entrando all’età di 17 anni come apprendista designer nel Centro Stile della Casa torinese chiamato da Dante Giacosa, il padre di tutte le Fiat dalla Topolino alla 127. Appena quattro anni dopo, nel 1959, Nuccio Bertone, gran scopritore di talenti, lo chiama a dirigere il suo centro stile in sostituzione di Franco Scaglione.

Presso Bertone Giugiaro disegna alcuni capolavori a cominciare dall’Alfa Romeo 2600 Sprint (1959) suo primo impegno con il carrozziere torinese, la Giulia Sprint GT (1963) il prototipo Carabo (1964), l’ASA 1000 (1962), BMW 3200 CS; prima di passare nel 1966 alla Ghia, per la quale crea l’Iso Rivolta Fidia, e compiere  nel 1968 il grande salto fondando con Aldo Mantovani l’Italdesign. Nei 44 passati alla direzione di Italdesign ha disegnato oltre 200 modelli, alcuni dei quali prodotti in grande numero di esemplati come la Volkswagen Golf (oltre alla Scirocco e alla Passat), la Fiat Panda, Uno, Croma, Punto e Grande Punto, la Daewoo Matiz, la Lancia Delta (oltre a Thema, Prisma e Musa) e vetture di grande impatto emozionale come le Maserati Coupé e Spyder, le Bugatti EB 110 ed EB 112 (quest’ultima rimasta a livello di pochi esemplari), le Maserati Bora, Ghibli, Merak MC12 e Kubang, la De Lorean DMC12 (quella di “Ritorno al futuro”). Ha disegnato inoltre la Lotus Esprit (protagonista del film “La spia che mi amava”), l’Alfa Romeo Alfasud, Alfasud Sprint, Alfetta GT e GTV, Brera 156 e 159, i prototipi Iguana e Caimano, la Ford Mustang Concept del 2008, i concept Audi Asso di Picche, la BMW M1, le Isuzu Asso di Fiori, Gemini Coupe e Piazza, la Renault 19 e 21, la Saab 9000.

Ma queste sono solo alcune delle vetture uscite dalla matita del designer di Garessio.

Nel 2010 l’Italdesign entra a far parte della galassia Volkswagen Group e Giorgetto Giugiaro rimane in azienda fino al 2015, quando cede alla Casa tedesca le sue ultime quote, fondando insieme al figlio Fabrizio la GFG Style, che sviluppa le idee di Giugiaro Design, azienda nata nel 2012 per sviluppare in modo indipendente il design nei settori più disparati dai veicoli commerciali, industriali e agricoli, alle imbarcazioni, alle moto (Giugiaro è un grande appassionato di trial che pratica con passione), elementi di arredo, orologi, macchine fotografiche, fino alla pasta da cucina, campo nel quale si era già cimentato nel 1983 per la Voiello). Giugiaro è stato coinvolto nell’organizzazione dei Giochi Olimpici invernali di Torino 2006 e ha progettato l’organo della cattedrale di Losanna composto da circa 7000 canne.

Giugiaro è stato nominano Cavaliere del Lavoro nel 1999 e nel 2010 ha ottenuto la Laurea Honoris Causa dall’università di Torino che va ad aggiungersi alle altre sette lauree ad honorem conferitegli da università di tutto il mondo oltre ad aver vinto sette volte il Compasso d’Oro ed essere stato nominato da 120 giornalisti internazionali “Car Designer del Secolo”.